No. 152/NUEVA NOVELA ITALIANA

 
Sin cola (fragmento)


Marco Missiroli
Senza coda, Fanucci Editori, 2005, pp. 11-20



1

Più veloce, ti prego, più veloce.
Fa’ che arrivo presto. Prestissimo.
Aiutami.
Ti prego, Gesù Bambino.

Quando il sole è lassù anche il male non c’è più,
con il nero e con la luna vola via la mia paura.
Il male se ne va, vola in alto vola là,
e felice io sarò fino a quando lo vorrò.
Fino a quando lo vorrò, lo vorrò,
fino a quando lo vorrò.



2

Pietro si accorse di Nino che ancora le mani gli bruciavano. Lo sentì avvicinarsi dai colpi di tosse che anticiparono di poco la sua barba grigia e la tuta verde piena di buchi. Fu allora, quando quella pancia grande gli sfiorò le spalle, che ritornò con gli occhi fissi al muro. La lucertola era ancora lì, immobile e appesa.

Di nuovo, avvolse i palmi e le dita al legno del manico, poi strinse e spinse in alto, finché i denti del rastrello grattarono un bianco qualunque della parete e si abbassarono sopra la sua testa. Sentì la fatica e la lucertola restò alta e irraggiungibile.

Non guardò il vecchio, ma lasciò che da dietro sollevasse quell’attrezzo al suo posto. Che toccasse la lucertola di quel poco che serviva. Allora lei cadde tra la terra e la polvere e lui le fu subito sopra, impastando aria ed erba. Poi imprigionò quei movimenti disperati nel vetro del barattolo. Prese il piccolo coltello e lo aprì.

Ora non c'era più nessuno. Nino e il suo rastrello erano già lontani.

Rovesciò quel corpo nervoso sull’asse larga che proprio il vecchio gli aveva levigato. Lo bloccò, strisciando la lama contro la carne. Schiacciò forte, fin quando sentì il legno fermargli la mano.

Poi, la lucertola fuggì oltre quelle dita che l’avevano resa incompleta. Al di là di quegli occhi che l’avevano fissata lucidi.

Pietro afferrò di punta la parte mozzata. La chiuse nel contenitore e tornò al muro bianco ormai buio. Pensò alla lucertola che era diventata sua, a quanto fosse grossa. A quando l’avrebbe sistemata nel barattolo, con le altre.

Ma d’un tratto, da dietro, delle mani gli arrivarono addosso. La sua testa fu colpita e sbattuta, colpita e sbattuta. Tutto girava, le gambe cedettero. Cadde proprio là, dove lei era precipitata la prima volta. E lì, ancora, sentì delle gambe che lo pestavano sulla schiena e sullo stomaco. Si fermavano e poi tornavano, ancora e ancora. Iniziò a piangere, non per il dolore o la paura, ma perché sapeva che non avrebbe mai più rivisto quella coda persa nell’erba. Mai più. Ne era sicuro.



È mia. Fa’che la coda è solo mia e basta. Anche la tavola di legno e il barattolo sono miei, sono là fuori, papà non me li ha fatti prendere e ora forse me li rubano.

Non lo sapevo che era tardi, non lo sapevo per niente e ora c’è il rosa della pelle che va via e diventa nero e se mi tocco fa male. E anche dopo. Le macchie nere fanno male sempre. Però tra un po’ passa, l’ha detto mamma. Ha detto “Non ti preoccupare amore che passa. Basta che stai fermo e chiudi gli occhi”. L’ha detto piano piano e mi ha anche promesso che quando papà guarda la signorina lei mi porta il formaggino con il pane. Quello con la bambina felice sulla carta d’argento.

Quando lo faccio arrabbiare papà dice che sono cattivo e mi picchia. Invece quando sono buono anche lui è buono e ride. Prima però papà era sempre buono e tutte le volte che catturavo le code diceva che io ero il più grande cacciatore del mondo. Adesso non lo dice più e mi parla poco.

Fa’ che nessuno ruba la mia coda e le cose mie, fa’ che gli uomini del cancello non fanno entrare nessuno. Ti prego Gesù Bambino, fa’ che ci sono loro al cancello che vedono tutto.



3

“Mangia!”

Il difficile era spaccare la parete del guscio. Pietro ci riuscì un attimo prima che la forchetta gli scivolasse dalle dita, ricadendo senza rumore sopra lo spicchio di limone al bordo del piatto.

Gli occhi che aveva di fronte si alzarono appena.

Se avesse ascoltato il vuoto del suo stomaco, Pietro avrebbe ingoiato la corazza tutt’intera. Invece quello che fece fu aprirla un po’ alla volta.

Siccome le chele potevano anche scattare all’improvviso, guardò attento gli spigoli pericolosi delle due leve e decise di iniziare dal mezzo, dove non si rischiava nulla. Cosi batté col coltello contro la parte alta del guscio che rimase fermo, serrato come un’armatura. Pietro batté e batté, fin quando un liquido giallastro sgorgò tra minuscole bolle da una crepa invisibile. Osservò il rigagnolo colare nel piatto fino al centro, in una piccola palude densa e opaca. Provò a non fissarla, ma quella bava di animale occupava quasi tutto il suo piatto. Schiacciò più che poté la punta della forchetta dentro il buco nero. La corazza crollò sotto la sua forza, rilasciando altra acqua scura, più densa e appiccicosa di prima. La sua forchetta si invischiò: quando cercò di salvarla era già cosparsa di filamenti lunghi e collosi.

Un odore dolciastro lo raggiunse.

Pietro sollevò lo sguardo. E se le vide davanti, quelle bocche avide, masticare ogni parte inzuppata. Sentì la polpa urlare tra quei denti, scivolare unta contro le guance e tra le gengive fino a tacere in quelle gole palpitanti.

Con la punta della posata spaccò il guscio che rovesciò d’un fiato le sue bianche interiora.

Si fermò. Poi, rassegnato, inforcò un pezzetto di quella carne bagnata. Se la portò alla bocca, ingoiò ma i sapori non arrivavano, soffocati dal naso chiuso. Il molliccio gli si appoggiò sulla lingua, scivolava in ogni angolo possibile. Si mischiava alla saliva pesante e acida.

Il suo ventre si chiuse, mentre il mostro che aveva ingerito scivolava giù fino allo stomaco.

Respirò lento.

Ne infilzò ancora.

Prima un boccone. Poi un altro, rispettando le regole: la schiena dritta, le gambe ferme. I gomiti bassi.

Pietro mangiò e mangiò.

La corazza fu girata e svuotata, gli occhi lessi lo fissarono e lui fissò loro. Scovò l’ultimo pezzetto contro un angolo del guscio: un trancio piccolo, imbevuto di quell’acqua sporca. Lo schiacciò contro l’unica parte di corazza rimasta intatta. Lo incastrò dove non poteva essere scoperto. Poi portò rapido la forchetta vuota in bocca.

Nel piatto rimasero solo i cocci lucenti.

“Allora saltare la cena aiuta! Maria, hai visto? Guarda tuo figlio. Guarda come è felice di mangiarlo. Vorrà dire che d’ora in poi mangerà granchio ogni volta che la sera prima avrà saltato il pasto.”

Pietro mise le sue piccole mani dietro la schiena. E rimase a fissare il piatto.

Si sentiva spossato. Il bagnato sotto il braccio colava fino ai fianchi.

Improvvisamente, insistenti e cattivi, i denti di una nuova forchetta lo cercavano. Una, due, tre volte spinsero contro le sue labbra serrate.

“Non ne vuoi? Eh? Non ne vuoi più?” disse suo padre allungando il braccio.

Gli aculei lo punsero di nuovo. Entrarono nella sua bocca riempiendola di altra polpa molliccia. Il sapore dolciastro e subito aspro lo invase. Pietro restò per un attimo con le guance gonfie a guardare quelli occhi azzurri e sottili che lo fissavano seri. E a fianco altri occhi, tristi e impotenti.

Poi sputò tutto, da dentro le budella salivano. Gli venne da tossire una, due, tre volte. Non riuscì più a trattenersi, scaricò l’acido del suo stomaco sul bianco ricamato della tovaglia. Piccoli rantoli ruppero per sempre l’ordine della stanza.

“Basta, per favore. Sta male…” fece sua madre con un filo di voce.

Un pugno sbatté contro il tavolo. Piatti, bicchieri, posate saltarono tutti.

“Vieni da me dopo”. La voce di suo padre uscì calma e ferma.

Ascoltò quell’ordine prima ancora di riuscire a respirare, prima ancora di capire cosa fosse quella cosa che lo stava mordendo dentro. Gli mancò il fiato. Sollevò la testa e rimase così, fermo nel suo spasmo. Intanto suo padre si era già voltato, aveva rovesciato la sedia e si era diretto fuori dalla sala da pranzo.

Sua madre corse ad abbracciarlo. Lo strinse forte, ma il tremore non passava. Gli asciugò la bocca bagnata con il tovagliolo e quando le cameriere si affrettarono al tavolo, sussurrò: “Mio marito è solo un po’ nervoso.”



La tovaglia della domenica si è sporcata tutta per colpa mia. Io non volevo che si sporcava ma c’era il granchio che si muoveva e che non ci voleva più stare nella mia pancia, è salito fino alla bocca e non stava fermo mai. E c’erano tutti che mi guardavano e mamma era triste.

A papà piacciono molto i pesci, soprattutto quelli grandi con gli occhi tondissimi e tutti bianchi. E anche le piovre nere e i granchi.

A me no, sembra che si muovono nel piatto e hanno tutta la saliva nera che esce dalla bocca.



La porta dello studio si richiuse alle sue spalle. Un rumore secco che lo separò da tutto quel fumo e da quella voce.

“Fra tre giorni ci vai da Carmine, a papà?” Pietro si ripeté nel corridoio. Quando era entrato, suo padre lo aveva fatto subito mettere sul divano con le zampe di cane, quello dove non ci si sedeva mai nessuno. Poi gli aveva offerto il cioccolatino con la menta che stava nella ciotola d’argento. “Per ripulirti la bocca” aveva sorriso. Ne aveva preso uno anche per sé e accarezzandogli la testa gli aveva detto: “Fra tre giorni ci vai da Carmine, a papà?”

Pietro serrò gli occhi e quando li riaprì si ritrovò davanti al pendolo di legno scuro che batteva regolare i suoi rintocchi. Camminò tra il buio dei quadri vecchi che lo fissavano dalle pareti, finché il corridoio lo portò alla sua stanza. Lì appoggiò la cartella sul letto e si cambiò subito la maglia bagnata.

1

Más rápido, te lo ruego, más rápido.
Haz que llego rápido. Rapidísimo.
Ayúdame.
Te lo ruego, niño Jesús.

Cuando el sol arriba está, hasta el mal no existe ya
con la luna y la oscuridad mi miedo al fin se va.
Todo el mal por fin se va, vuela alto vuela allá,
y feliz yo estaré hasta cuando lo querré.
Hasta cuando lo querré, lo querré,
hasta cuando lo querré.



2

Pietro se percató de la presencia de Nino cuando aún le quemaban las manos. Escuchó que se acercaba por la tos que anticipaba su barba gris y su overol verde lleno de hoyos. Fue entonces, cuando su panza grande le rozó la espalda, que él volvió a mirar fijamente hacia el muro. La lagartija todavía estaba allí, inmóvil y suspendida.

Envolvió nuevamente con las palmas y los dedos la madera del mango, luego apretó y empujó hacia arriba, hasta que los dientes del rastrillo rascaron un blanco cualquiera de la pared y cayeron sobre su cabeza. Sintió el cansancio y la lagartija permaneció arriba, inalcanzable.

No miró al viejo, pero dejó que desde atrás levantara ese instrumento en su lugar. Que aquél tocara la lagartija tanto como fuera necesario. Entonces ella cayó entre la tierra y el polvo, y él se le fue inmediatamente encima, amasando aire y hierba. Luego aprisionó aquellos movimientos desesperados en un frasco de vidrio. Tomó la pequeña navaja y la abrió.

Ahora ya no había nadie. Nino y su rastrillo ya estaban lejos.

Puso aquel cuerpo nervioso sobre la tabla que el viejo le había pulido. Lo inmovilizó, deslizando la hoja de la navaja contra la carne. Apretó fuerte, hasta que sintió la madera que le detenía la mano.

Luego la lagartija escapó más allá de esos dedos que la habían dejado incompleta. Más allá de aquellos ojos brillantes que la habían mirado fijamente.

Pietro tomó con las puntas de los dedos la parte amputada. La encerró en el recipiente y regresó al muro blanco ya oscuro. Pensó en la lagartija que se había vuelto suya, en cuán grande era. Pensó en el momento en que la acomodaría en el frasco con las otras.

Pero de repente, por atrás, unas manos le cayeron encima. Su cabeza fue golpeada y sacudida, golpeada y sacudida. Todo daba vueltas, las piernas cedieron. Se desplomó justo allí, en donde ella había caído la primera vez. Y allí, nuevamente, sintió unas piernas que lo pisaban sobre los hombros y sobre el estómago. Se detenían y luego regresaban una y otra vez. Comenzó a llorar, no por el dolor o el miedo, sino porque sabía que no iba a volver a ver esa cola perdida en la hierba. Nunca más. Estaba seguro.

Es mía. Haz que la cola es sólo mía y ya. También la mesa de madera y el frasco son míos, están allá afuera, papá no me dejó tomarlos y ahora tal vez me los roben.

No sabía que era tarde, no lo sabía para nada y ahora está el rosa de la piel que se va y se vuelve negro y si me toco duele. Y después también. Los moretones siempre duelen. Pero dentro de poco pasa, lo dijo mamá. Dijo “No te preocupes, amor, que pasa. Basta que te estés quieto y cierres los ojos”. Lo dijo quedito quedito y también me prometió que cuando papá vea a la señorita, me traerá el quesito con el pan. El de la niña feliz en el papel plateado.

Cuando lo hago enojar papá dice que soy malo y me pega. En cambio cuando soy bueno también él es bueno y se ríe. Pero antes papá era siempre bueno y todas las veces que capturaba las colas decía que yo era el cazador más grande del mundo. Ahora ya no lo dice y me habla poco.

Haz que nadie
roba mi cola y mis cosas, haz que los hombres de la reja no dejan entrar a nadie. Te ruego Niño Jesús, haz que están en la reja que ven todo.



3

“¡Come!”

Lo difícil era romper la pared del caparazón. Pietro lo logró un momento antes de que el tenedor se le resbalara de los dedos, cayéndose sin hacer ruido sobre el gajo de limón en el borde del plato.

Los ojos que tenía en frente apenas se alzaron.

Si hubiera hecho caso al vacío de su estómago, Pietro se hubiera tragado el caparazón entero. En cambio lo que hizo fue abrirlo poco a poco.

Puesto que las pinzas también podían dispararse de improviso, miró con atención las esquinas peligrosas de las dos palancas y decidió empezar por la mitad, donde no se arriesgaba nada. Así, golpeó con el cuchillo contra la parte alta del caparazón que permaneció inmóvil, cerrado como una armadura. Pietro golpeó y golpeó, hasta que un líquido amarillento brotó entre las burbujas minúsculas de una crepa invisible. Observó el reguero chorreando en el plato hasta el centro, en un pequeño pantano denso y opaco. Intentó no verla, pero esa baba de animal ocupaba casi todo su plato. Aplastó lo más que pudo la punta del tenedor adentro del hoyo negro. El caparazón se desfondó bajo su fuerza volviendo a sacar más líquido oscuro, más denso y pegajoso que antes. El tenedor se atascó: cuando trató de salvarlo ya estaba rociado de filamentos largos y pegajosos.

Lo alcanzó un olor dulzón.

Pietro alzó la mirada. Y las vio delante de él, a aquellas bocas ávidas, masticar cada parte empapada. Sintió la pulpa gritar entre aquellos dientes, resbalarse grasienta contra los cachetes y entre las encías hasta callar en aquellas gargantas palpitantes.

Con la punta del cubierto rompió el caparazón que sacó de inmediato sus interiores blancos.

Se detuvo. Luego, resignado, clavó el tenedor en un pedazo de esa carne mojada. Se la llevó a la boca, tragó, pero los sabores no llegaban, sofocados por la nariz tapada. Lo blandito se deslizó sobre su lengua, en cada rincón posible. Se mezclaba con la saliva pesada y ácida.

Su vientre se cerró, mientras el monstruo que había ingerido se resbalaba hasta el estómago.

Respiró lento.

Ensartó de nuevo.

Primero un bocado. Luego otro, respetando las reglas: la espalda derecha, las piernas quietas. Los codos abajo.

Pietro comió y comió.

Volteó y vació el caparazón, los ojos cosidos lo miraron fijamente y él los miró a ellos. Descubrió el último pedazo en una esquina de la coraza: un trozo pequeño, repleto de esa agua sucia. Lo aplastó contra la única parte intacta. Lo encajó donde no podía ser descubierto. Luego se llevó rápido a la boca el tenedor vacío.

En el plato quedaron sólo los cascajos relucientes.

“¡Entonces, no cenar ayuda! ¿Viste, María? Mira a tu hijo. Mira cómo es feliz por comérselo. Quiere decir que de hoy en adelante comerá cangrejo cada vez que no haya cenado el día anterior.”

Pietro puso sus pequeñas manos atrás de la espalda. Y se quedó mirando el plato.

Se sentía extenuado. La humedad bajo el brazo se escurría por los flancos.

De improviso, insistentes y malvados, los dientes de un nuevo tenedor lo buscaban. Una, dos, tres veces empujaron contra sus labios cerrados.

“¿No quieres más? ¿Eh? ¿No quieres más?”, dijo su padre alargando el brazo.

Los aguijones lo picaron de nuevo. Entraron en su boca llenándola de otra pulpa blanducha. El sabor dulzón y áspero lo invadió inmediatamente. Pietro permaneció por un momento con los cachetes inflados observando aquellos ojos azules y angostos que lo miraban con seriedad. Y a un lado otros ojos, tristes e impotentes.

Luego escupió todo, salía desde las entrañas. Le dieron ganas de toser una, dos, tres veces. No logró resistirse más, descargó el ácido de su estómago sobre el bordado blanco del mantel. Pequeños estertores desesperados desordenaron para siempre la habitación.

“Basta, por favor. Se siente mal…”, dijo su madre con una voz muy bajita.

Un puño golpeó contra la mesa. Platos, vasos, cubiertos saltaron todos.

“Luego vienes conmigo.” La voz de su padre salió calmada y quieta.

Escuchó esa orden aun antes de lograr respirar, aun antes de entender qué era esa cosa que lo estaba mordiendo por dentro. Le faltó el aire. Alzó la cabeza y permaneció así, quieto en su espasmo. Mientras tanto, su padre ya se había volteado, había tirado la silla y había salido del comedor.

Su madre corrió a abrazarlo. Lo apretó fuerte, pero el temblor no desaparecía. Le secó la boca mojada con la servilleta y cuando las sirvientas se apresuraron hacia la mesa, susurró: “Mi marido sólo está un poco nervioso.”



El mantel del domingo se ensució todo por mi culpa. Yo no quería que se ensuciaba pero el cangrejo se movía y ya no quería estar en mi panza, subió hasta la boca y no se quedaba quieto. Y allí estaban todos que me miraban y mamá estaba triste.

A papá le gusta mucho el pescado, sobre todo los grandes con los ojos redondísimos y todos blancos. Y también los pulpos negros y los cangrejos.

A mí no, parece que se mueven en el plato y se les sale toda la saliva negra de la boca.



La puerta del estudio se cerró tras él. Un ruido seco lo separó de todo aquel humo y de aquella voz.

“En tres días vas con Carmine, ¿lo harás por tu papá?” Pietro se lo estaba repitiendo en el pasillo. Cuando entró, su padre lo había hecho acomodarse inmediatamente en el sillón con patas de perro, aquél en donde nunca se sentaba nadie. Luego le ofreció un chocolate de menta que estaba en la copa de plata. “Para limpiarte el sabor de boca”, sonrió. Él también tomó uno y, acariciando su cabeza, le dijo: “En tres días vas con Carmine, ¿lo harás por tu papá?”

Pietro cerró los ojos y cuando los volvió a abrir se encontró frente al péndulo de madera oscura que cadenciaba sus toques regulares. Caminó en la oscuridad entre los viejos cuadros que le miraban desde la pared, hasta que el pasillo lo llevó a su habitación. Allí apoyó la mochila en la cama y se cambió de prisa el suéter mojado.





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Ilustración:
Luciano Valentinotti, Sin título (detalle), acrílico/tela, 121 X 123 cm
Luciano Valentinotti, Banda de pueblo (detalle), acrílico/tela, 140 X 140 cm


Marco Missiroli (Rimini, 1981). Su primera novela, Senza coda (Fanucci, 2005) ganó el Premio Campiello “Opera Prima” en 2006. Vive y trabaja en Milán, donde colabora en una revista de psicología y en una agencia literaria. En 2007 publicó la novela Il buio addosso (Guanda).